Il tecnico dell’Under 19 della Boreale ai microfoni MYSP: “L’aspetto psicologico più importante di quello tecnico, fisico e tattico”

Una chiacchierata piacevole e molto interessante con il tecnico dell’Under 19 della Boreale, mister Gabriele Passerini. Con l’allenatore della Juniores viola abbiamo toccato vari temi, dalla formazione dei giovani calciatori alla Prima Squadra.

Buongiorno mister. Il campionato Under 19 Regionale inizierà fra poco più di un mese (20 ottobre), qual è la situazione dell’Under 19 della Boreale e il primario obiettivo stagionale?
Innanzitutto vorremmo tornare subito alla categoria Élite perché la società viene da un campionato di Serie D con la Prima Squadra e dalla Juniores Nazionale. Purtroppo con la retrocessione della Prima Squadra in Eccellenza, la Juniores riparte dal torneo Regionale. Abbiamo entrambi i gruppi dei giovanissimi e degli allievi in Élite, quindi è normale che si punti a quello.

Nel calcio giovanile, quanto a livello di percentuale è importante il lato fisico, il lato tecnico e il lato tattico?
Diciamo che la questione va analizzata in base ai bienni. Mi spiego meglio. Nel biennio dei giovanissimi (Under 14 e Under 15) darei un’importanza meno accentuata all’aspetto tattico collettivo e mi concentrerei di più sull’aspetto tecnico. Se dovessimo fare una scala, direi tecnico, fisico e tattico. I ragazzi dell’Under 14 escono da un percorso di Scuola Calcio dove si è lavorato molto sulla tecnica individuale. Andrei ad accentuare quelle qualità, messe in relazione con gli spazi vuoti. Loro arrivano da un campionato esordienti a nove su un campo da calciotto. Per un campo che ti si triplica, vengono aggiunti solamente due calciatori, quindi si parla di spazi e di tempi completamente diversi. Per quanto riguarda l’aspetto fisico, analizzerei un percorso di crescita nell’età dello sviluppo, quindi dal punto di vista motorio, articolare e coordinativo. Nel secondo anno di giovanissimi si comincia a intraprendere un discorso di collaborazione e di cooperazione. Non gioco più da solo, ma mi devo relazionare con tutti i compagni sul campo.

Nel biennio allievi le cose cambiano. La tecnica rimane la prima cosa, ma si comincia a intraprendere un discorso tattico più evoluto. Quindi reparto, reparto più parte di reparto, reparto più reparto più parte di reparto, sempre mantenendo alla base il focus sulla tattica individuale. Un singolo giocatore deve saper osservare, leggere, analizzare e mettere in pratica in tutte le fasi quello che gli viene insegnato. Ma c’è un altro fattore fondamentale che vale dai giovanissimi alla Prima Squadra. La quarta sfera è quella psicologica e comportamentale ed è importantissima, forse anche più delle prime tre.

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 In una precedente intervista ho letto che ai tuoi ragazzi chiedevi furbizia. Cosa intendevi?
La furbizia rientra nella sfera socio-comportamentale e psicologica. Si intende la capacità di trovare la chiave per “fregare” l’avversario, sia in fase offensiva che in fase difensiva. Ma anche magari guardando ai piccoli dettagli sulle palle inattive. Il piedino sopra al piede per non far saltare l’avversario, il blocco non blocco, solo per fare degli esempi. Secondo gli studi quell’aspetto va a comporre l’80% di un calciatore. Puoi avere il 100% della tecnica, il 100% della fisicità e il 100% della tattica, comunque messi insieme non superano l’80% dell’aspetto psicologico. Nel settore giovanile è importante volere bene ai ragazzi, stargli accanto e seguirli in un percorso di formazione e di crescita.

È retorica quando si dice che l’obiettivo principale delle squadre giovanili è fornire calciatori alla Prima Squadra e magari portarli al professionismo o è realmente così?
Si cerca innanzitutto di formare il ragazzo, l’atleta e il giocatore nel modo più completo possibile e di renderlo autonomo, indipendente e capace di affrontare difficoltà maggiori. Di anno in anno aiutarli ad acquisire nuove esperienze che gli serviranno quando approderanno nel calcio adulto. Poi se avranno la fortuna di diventare professionisti, piuttosto che fermarsi in una Prima Squadra dilettantistica si vedrà. I numeri parlano di uno su un milione. L’idea formativa è comunque quella di metterli in condizione di farli diventare il più possibile giocatori pensanti, di non avere un allenatore con il joystick che li telecomanda.

Una battuta sulla Prima Squadra. Il campionato è iniziato bene con la vittoria sul campo del Colleferro? L’obiettivo è tornare subito in Serie D?
Per quanto fra la Serie D e l’Eccellenza ci sia solo un gradino, per quello che ho vissuto io in tanti anni sia in campo che fuori, sono due mondi diversi. In primis per l’organizzazione. Una società che da anni compete in quella categoria e la fa bene, è a tutti gli effetti un club professionistico dal punto di vista organizzativo, fra impegni, trasferte, magazzinieri, materiale, staff, eccetera eccetera. Nell’Eccellenza ci sono delle società che investono molto e cercano di avvicinarsi. Chi si ritrova a fare la Serie D dopo tanti anni di Eccellenza e non è pronto può incontrare un po’ di difficoltà.

Sono molto contento dell’esordio della Prima Squadra. La società ha investito bene e la rosa è altamente competitiva. Il Girone A è complicato, ci sono Valmontone, Pomezia e W3 Maccarese che hanno organizzato squadre degne della Serie D. Non sarà facile perché poi chi vince è sempre e solo una, però ci sono le premesse per far bene. La società è ambiziosa e mi auguro che torni prestissimo in Serie D, perché penso che sia una target che può permettersi.

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